L’iscrizione all’Albo degli Avvocati è condizione necessaria per l’esercizio della professione forense: così si è espressa la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 27440 del 13 luglio 2011 che confermava l’inflitta condanna per esercizio abusivo della professione (art. 348 c.p.) nella vicenda di un giovane “neo-avvocato” che, pur avendo superato l’esame ma non avendo ancora effettuato la regolare iscrizione all’Albo, aveva assunto la difesa di un soggetto nell’ambito di una procedura di riparazione per ingiusta detenzione, autenticandone la firma in calce al mandato difensivo e provvedendo a depositare tale atto presso la Cancelleria della competente Corte di Appello.
Si legge nella sopra citata pronuncia come “l’atto posto in essere dall’imputato rientrava tra gli atti tipici della professione di avvocato, in quanto alla stessa riservato in via esclusiva, con l’effetto che il suo espletamento da parte di soggetto non ancora iscritto nell’Albo professionale integrava la fattispecie di reato contestata”. Nella susseguente motivazione, la Corte di Cassazione rileva come “l’art. 348 cod. pen. è una norma penale in bianco, che presuppone l’esistenza di norme giuridiche diverse, qualificanti una determinata attività professionale, le quali prescrivano una speciale abilitazione dello Stato ed impongano l’iscrizione in uno specifico albo. Ne consegue che è abusivo l’esercizio della professione di avvocato da parte di colui che, pur avendo conseguito l’abilitazione statale, non sia iscritto all’albo professionale, considerato che tale iscrizione è imposta da norma cogente quale condizione inderogabile per l’esercizio della professione (art. 1 r. decreto legge n. 1578/1933)“.
Per il testo della sentenza ed un ottimo commento a firma di Manuela Rinaldi, si rimanda a Altalex.
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