Con un’interessantissima e rilevante pronuncia del 02.05.2013 la Sez. III Penale della Corte di Cassazione si è pronunciata riconoscendo in capo ad un soggetto imputato per i reati di cui agli art. 609 bis, 609 ter c. 1 n. 1 e 600 quater c.p. responsabilità penale per fatti essenzialmente commessi attraverso una serie di chat online (nello specifico su MSN) avute con persone offese minori degli anni diciotto.
Nella detta pronuncia, si legge come “l’imputato abbia ripetutamente mostrato, nel corso delle conversazioni, di essere a conoscenza di informazioni personali sulle minori, rivolgendo ad una delle due, durante i numerosi contatti telematici, precisi riferimenti sulle parentele ed il luogo di abitazione, lasciando intendere che se non fossero state assecondate le sue richieste vi sarebbero state spiacevoli conseguenze, seppure genericamente rappresentate e che il materiale già in suo possesso sarebbe stato divulgato … in ragione della giovane età e dell’inesperienza delle vittime, è certa l’efficacia intimidatoria delle espressioni utilizzate e che le stesse hanno effettivamente raggiunto lo scopo, tanto che le minori hanno ripetutamente assecondato le richieste loro rivolte. Del resto, il tenore delle frasi riportate in sentenza è inequivoco e consente anche, come pure osservato in sentenza, di verificare come le riprese video e le fotografie siano il risultato della coartazione della volontà conseguente alle minacce” e, soprattutto, come “con specifico riferimento al delitto di violenza sessuale, si è altresì specificato che l’elemento oggettivo del reato può consistere in qualsiasi intimidazione psicologica che si ponga quale mezzo di pressione morale sull’animo della vittima e sia in grado di provocare la coazione della stessa a subire gli atti sessuali, cosicché la minaccia può ritenersi integrata dalla prospettazione di un qualunque male che, in relazione alle circostanze che l’accompagnano, sia comunque tale da far sorgere nella vittima il timore di un pregiudizio concreto … l’idoneità della minaccia a coartare la volontà della vittima deve esaminarsi non secondo criteri astratti aprioristici, ma tenendosi invece conto, in concreto, di ogni circostanza oggettiva e soggettiva, con la conseguenza che anche una semplice minaccia o intimidazione psicologica, attuata in situazioni particolari tali da influire negativamente sul processo mentale di libera determinazione della vittima, può esser sufficiente ad integrare, senza necessità di protrazione nel corso della successiva fase della condotta tipica dei reati in esame, gli estremi della violenza“.
Alla luce delle sopra riportate motivazioni (estratte dal testo integrale della sentenza), l’imputato è stato riconosciuto colpevole dei reati contestati ulteriormente rilevando come “il mezzo informatico e le comunicazioni mediante chat o social-network, rendono particolarmente agevole l’approccio anche con soggetti con i quali il contatto diretto o attraverso altri mezzi di comunicazione sarebbe senz’altro più difficoltoso, non essendo necessario disporre, ai fini di tale contatto, di dati personali (identità, indirizzo, numero telefonico etc.) e potendosi raggiungere l’interlocutore anche attraverso una semplice ricerca o l’utilizzazione dei sistemi utilizzati dalle singole piattaforme per mettere in contatto tra loro gli utenti. Rilievo non minore assume, inoltre, la velocità delle comunicazioni e la possibilità di inviare fotografie e riprese video, anche contestualmente alla loro realizzazione, attraverso dispositivi portatili“.
Per un ottimo commento a firma di Michele Iaselli e per il testo integrale della sentenza si veda Altalex.
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