Con sentenza n. 20448 del 29 settembre 2014 le Sezioni Unite hanno statuito”il comodato di un immobile, pattuito per la sua destinazione a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario, da intendersi in tal caso “anche nelle sue potenzialità di espansione”, deve essere configurato come comodato a termine di cui all’art. 1809 c.c., intendendo come termine, individuato per relazionem, la destinazione dell’immobile a casa familiare, indipendentemente dall’insorgere di una crisi coniugale“.
Nel caso di specie il genitore proprietario dell’immobile lo concede in godimento al figlio sposato in attesa che reperisse altra soluzione abitativa. La coppia qualche anno dopo si separava e la casa veniva assegnata alla moglie così che, il proprietario ne chiedeva la restituzione sostenendo che il comodato fosse a titolo gratuito e senza determinazione di tempo e quindi era legittima la sua domanda di riottenere l’immobile dietro semplice richiesta ai sensi dell’art. 1810 c.c.
Le Sezioni Unite, tuttavia richiamando un precedente orientamento del 2004, hanno rilevato come il contratto di comodato concesso per esigenze di famiglia è da intendersi non come comodato precario, risolvibile a semplice richiesta del comodante, bensì come comodato a termine; detto termine coinciderebbe appunto con le esigenze della famiglia le quali permangono anche in caso di crisi coniugale nonché nel caso in cui il bene venga assegnato ad uno solo dei coniugi nell’interesse della prole.
Il comodante, quindi, potrebbe riottenere la disponibilità del bene solo in caso di bisogno. Detto bisogno deve avere le caratteristiche dell’imprevedibilità e dell’urgenza e deve essere sopravvenuto rispetto alla cessione in comodato. Resta escluso il bisogno non attuale, non concreto, ma soltanto astrattamente ipotizzabile. Inoltre, il bisogno deve essere serio, non voluttuario, né capriccioso o artificiosamente indotto.
Per un ottimo commento sull’argomento a firma Giuseppina Vassallo nonché per il testo integrale della sentenza si veda Alatlex.
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